Pizzeria I Caporale

Famiglia, passione e ricerca costante. La storia di Giuseppe Caporale è una testimonianza viva di quanto un mestiere antico come quello del pizzaiolo possa diventare terreno fertile per l’innovazione. Insieme al fratello Raffaele e sotto la guida del padre Domenico, detto Mimmo, ha costruito un’identità forte e riconoscibile, rivoluzionando il modo di pensare agli impasti. In questa intervista si racconta e ripercorre il suo percorso.

Giuseppe, partiamo dall’inizio. Come è cominciata la sua storia da pizzaiolo?
“La mia storia è iniziata seguendo mio padre. Vederlo all’opera mi ha fatto innamorare di questo lavoro. Poi, crescendo, abbiamo cominciato a studiare e a sperimentare. Abbiamo rivoluzionato gli impasti, cercando sempre qualcosa di nuovo. La cosa più bella? Nostro padre ha creduto in noi, ci ha supportati, sia a me che a mio fratello Raffaele”.

Che tipo di formazione ha avuto?
“Sicuramente ho iniziato con mio padre, ma ho fatto anche esperienze diverse, osservando, studiando, provando da solo. Abbiamo sempre cercato di dare un’identità precisa a tutto: dagli impasti agli abbinamenti, fino alla comunicazione. Anche quando usiamo farine antiche o tecniche contemporanee, quello che conta è creare qualcosa che ci rappresenti davvero”.

Come definirebbe questa identità?
È un’identità dinamica, frutto di prove, errori, studio. Se un’idea non funziona, la cambiamo finché non troviamo la strada giusta. Lavoriamo con l’obiettivo di far emergere il nostro stile in ogni singolo dettaglio”.

Parliamo dell’impasto, com’è fatto?
“È un impasto studiato, frutto di miscelazioni di lieviti e farine, anche con l’aggiunta di cereali antichi. Lavoriamo molto anche sulla digeribilità: aggiungiamo ingredienti che aiutano chi segue diete particolari. È un lavoro continuo di equilibrio tra tradizione e innovazione”.

Come lavorate in famiglia? È un lavoro di squadra?
“Sì, assolutamente. Io, mio fratello e nostro padre siamo una squadra. Ci dividiamo i compiti in base alle attitudini, ma tutti sappiamo fare tutto. Poi, ovviamente, ognuno ha la sua sensibilità. Ci ascoltiamo molto”.

Qual è la sua filosofia nel lavoro?
“È pura passione. Non potrei fare altro. Ogni giorno è una nuova sfida, e ogni pizza che esce dal forno deve raccontare qualcosa di noi”.

Che pensa delle classifiche dei pizzaioli, delle gare, della competizione?
“C’è tanta competizione, è vero. Ma io preferisco concentrarmi sulla qualità del lavoro, sulla crescita. Le classifiche vanno e vengono. Quello che resta è il rapporto con le persone, il cliente che torna perché si è sentito bene”.

Ha una pizza preferita?
“Sì, la Marinoro con i datterini grandi rossi semidry, cotti al forno, conciati “alla Caporale”, come diciamo noi. Ci abbiamo lavorato tanto per trovare il giusto equilibrio ed è una delle pizze che più ci rappresenta: c’è tutto il nostro studio dietro, la nostra idea di gusto, e piace tanto”.

Ci racconta un aneddoto familiare che custodisce nel cuore?
“Ce ne sono tanti, ma uno in particolare: quando abbiamo deciso di cambiare nome, di usare il nostro cognome per il locale. È stata una scommessa. Avevamo un’altra insegna, e cambiare significava rischiare tutto. Ma dopo dieci mesi avevamo già risultati enormi. È stato il segno che avevamo fatto la scelta giusta. È stato un momento di svolta, quasi una rinascita”.

Qual è il vostro plus?
“Solo una cosa: fare bene. Ogni giorno. Questo è quello che ci guida, che ci ha sempre guidato. Non smettere mai di crescere, restando fedeli a noi stessi”.